SAN NICOLA DAL SECONDO DOPOGUERRA AGLI ANNI ’70 DEL SECOLO VENTESIMO : SITUAZIONE SOCIO-ECONOMICA, FLUSSI MIGRATORI, VARIE.

All’indomani della seconda guerra mondiale San Nicola, come del resto tanti altri piccoli paesi del Cilento e del Sud più in generale, versava in condizioni di arretratezza e di miseria quasi ottocentesche.

La maggior parte della popolazione era costituita da contadini, proprietari di appezzamenti di terreno piccoli o medio-piccoli, i quali adottavano sistemi di coltivazione ormai antiquati, riuscendo a malapena a produrre quanto bastava per sfamare le loro famiglie, parecchie delle quali erano anche molto numerose. Non poche abitazioni contadine erano vere e proprie catapecchie costituite da due-tre locali scarsamente illuminati e aerati, nei quali si viveva in promiscuità con numerosi animali domestici (gatti, galline, conigli…) La presenza delle stalle, quasi tutte situate in paese nei locali al pianoterreno delle case per il ricovero degli animali da soma, da pascolo o da destinare alla macellazione (asini, buoi, pecore, capre, maiali), e la mancanza di impianti idrici e di servizi igienici – ancora non erano stati costruiti gli acquedotti – rendevano molto problematica la cura dell’igiene personale e degli ambienti domestici, che erano infestati da insetti di ogni tipo (mosche, scarafaggi, pulci, eccetera). Per procurarsi l’acqua per i vari usi domestici le donne – a loro era demandato questo compito – si recavano alla vecchia fontana pubblica, che distava alcune centinaia di metri dal paese, munite di “quarte” e di “mòmmole”(recipienti di terracotta utilizzati allo scopo).  Essendo per i suddetti motivi molto diffusa la pediculosi, la maggioranza delle bambine e dei bambini, soprattutto d’estate, venivano rapati a zero; inoltre, sempre d’estate, causa l’estrema indigenza di parecchie famiglie, numerosi ragazzi e anche alcuni adulti di dette famiglie camminavano a piedi scalzi per risparmiare sull’acquisto delle scarpe.

Ad aggravare una situazione già così critica contribuiva l’inadeguato sviluppo della rete viaria: infatti, a quel tempo, mancava qualsiasi collegamento stradale diretto con il capoluogo Centola e con Caprioli, Pisciotta e Palinuro. Vi era soltanto il tratto di strada non ancora asfaltato che collegava San Nicola a San Mauro La Bruca e allo scalo ferroviario di quest’ultimo. Di conseguenza, per recarsi a Centola occorreva o guadare il fiume Lambro oppure percorrere il viadotto ferroviario che lo attraversava con il serio rischio di essere travolti da qualche treno in transito. Quando bisognava trasportare le bare dei defunti al cimitero di Centola – giacché quello di San Nicola era in corso di progettazione e non sarebbe mai stato ultimato – si era costretti a utilizzare proprio quel viadotto nelle fasce orarie in cui non era attraversato da nessun convoglio.

A partire dalla metà degli anni ’50 le cose cominciano a cambiare rapidamente: nel luglio dell’anno 1954 vengono intrapresi i lavori di per la costruzione della strada San Nicola-Caprioli-Pisciotta; e, di lì a poco, quelli della strada Scalo ferroviario di San Mauro La Bruca-Foria. Nel corso dell’anno 1955 cominciano i lavori di scavo per la realizzazione dell’acquedotto, che, partendo dalle sorgenti posti alle falde del monte Gelbison, fornirà l’approvvigionamento idrico alla maggior parte dei paesi del Basso Cilento; alla fine di maggio dell’anno 1957 la linea dell’acquedotto è giunta a San Nicola e, con l’installazione del serbatoio sulla collina che sovrasta sul lato ovest il paese, qualche mese dopo i lavori vengono ultimati.

Nel frattempo, dopo una lunga interruzione cominciata in epoca fascista, riprende l’emigrazione.

D’altra parte, è questo il periodo in cui si verificano alcuni fenomeni, quali il cosiddetto “baby-boom” che caratterizza quasi tutto il periodo, la suaccennata ripresa dell’emigrazione e il grande slancio dell’economia italiana negli anni ’60, i quali apportano mutamenti profondi all’assetto della società meridionale e di quella italiana nel suo complesso. E San Nicola, con una popolazione che in quegli anni si è sempre aggirata intorno ai 400 abitanti, pur nella ristrettezza della sua consistenza abitativa offre un quadro che sostanzialmente conferma quei fenomeni sopra accennati.

Il primo di essi, quello riferito all’incremento delle nascite all’indomani della seconda guerra mondiale, è presente anche nella più piccola frazione del comune di Centola e si protrae fino a tutti gli anni ’60. Infatti, da un esame della composizione numerica dei figli per famiglia relativa al periodo considerato, emerge il seguente dato:

COMPOSIZIONE NUMERICA DELLE FAMIGLIE
11 FIGLI                                                                                                1
7 FIGLI                                                                                                  3
5 FIGLI                                                                                                  5
4 FIGLI                                                                                                  4
3 FIGLI                                                                                                  7
2 FIGLI                                                                                                  3
MEDIA COMPLESSIVA FIGLI PER FAMIGLIA=                     4,34                 

Va precisato che i dati numerici sopra riportati si riferiscono alle famiglie nelle quali l’età anagrafica dei genitori, in particolar modo delle madri, era compresa tra i 20 e i 40 anni nel periodo considerato (anni 1950-1970), cioè nella fascia d’età di maggiore fertilità a livello procreativo.

Se si scendesse nel dettaglio del dato sopra considerato, si rileverebbe anche che il tasso di natalità più alto si colloca tra la fine della guerra e l’inizio degli anni ’60.

Quali sono le cause del boom demografico di quel periodo?

Non soni più, o lo sono molto meno, quelle legate al bisogno di avere molte braccia per il lavoro nei campi della vecchia civiltà contadina meridionale. Negli anni ’50 del secolo scorso quel vecchio mondo contadino-patriarcale è ormai in via di estinzione e le esigenze sopra ricordate non si avvertono quasi più. Altre sono, quindi, le motivazioni di quel tasso di natalità così alto: esse vanno ricercate soprattutto nel netto miglioramento delle condizioni materiali di vita che si registrò in quel periodo anche nelle classi sociali più disagiate.

Miglioramento non certo dovuto, almeno per quanto riguarda le aree collinari e montuose del Sud, ad un effettivo sviluppo e/o crescita dell’economia locale – è in questo periodo, infatti, che si verificano l’abbandono in massa delle campagne e il crollo dell’agricoltura meridionale – ma quasi esclusivamente alle rimesse degli emigranti, che investono una parte cospicua dei risparmi faticosamente accumulati nella ristrutturazione e nell’abbellimento della vecchia casa in paese o nel costruirsene una nuova, ove possibile e/o necessario, consentendo nel contempo alle mogli e ai figli rimasti a casa di condurre un tenore di vita molto migliore rispetto al passato e dando anche la possibilità a questi ultimi di proseguire gli studi oltre la scuola dell’obbligo.

Ed esaminiamo, a questo punto, più da vicino quello che è il fattore propulsivo più importante dei cambiamenti avvenuti nel tessuto della società meridionale nel venticinquennio postbellico, vale a dire l’emigrazione.

Questo fenomeno, come già ho accennato prima, riprende vigoroso all’inizio degli anni ’50 ed è, in buona parte, la conseguenza delle scelte di politica economica effettuate dalla nuova classe dirigente politica italiana.

I dati che riporto nel prospetto qui di seguito indicano le dimensioni del fenomeno ben presente anche a San Nicola in quel periodo:

Numero emigrati trasferitisi definitivamente altrove-Anni 1950-1970
(a)Regioni del Nord Italia n.46 così distribuiti: Milano  n.25 Torino  n.10 Veneto  n.5 Altro  n.6
(b)Regioni del Centro Italia n.17 di cui n.7 nella sola Roma
(c)Estero  n.9 di cui n.6 in Sudamerica e n.3 in Australia
(d)Regioni del Sud Italia così ripartiti: Napoli  n.10 Salerno  n.9 Provincia di Salerno n.21
TOTALE (a+b+c+d) = n.112

Ma vi è anche un numero cospicuo di lavoratori – una ventina circa – tutti operai, i quali lasciano la famiglia in paese e vanno a lavorare nelle miniere di alcuni Stati europei (Belgio, Lussemburgo, Germania) o nella costruzione di tunnel sulle linee ferroviarie o nelle metropolitane in varie zone e/o città d’Italia. Costoro, pur trascorrendo buona parte dell’anno lontano da San Nicola, non rompono le radici con esso e vi faranno definitivo ritorno allorché o per vecchiaia o per motivi di salute porranno fine al duro lavoro di minatori.

Invece, tutti quelli che sono indicati nel prospetto sopra riportato lasciano in via definitiva il paese, dando inizio al fenomeno dello spopolamento dei piccoli centri rurali di un tempo, soprattutto quelli interni: fenomeno che negli anni ’50-’70 viene in misura notevole mascherato dal “boom” demografico.

Guardando con un pizzico di attenzione il prospetto, si rileva che:

  1. È ancora presente in quel periodo, anche se in dimensioni piuttosto ridotte, l’emigrazione transoceanica;
  2. Molto consistente è il numero degli emigranti che si dirige verso le arre settentrionali del cosiddetto “triangolo industriale”: e, non a caso, la capitale economica di detto triangolo, cioè Milano, e il suo hinterland accolgono il maggior numero di sannicolesi;
  3. Ma quasi altrettanto rilevante è il flusso migratorio che si dirige verso il centro e il sud dell’Italia, con picchi di una certa consistenza che riguardano il nostro capoluogo, vale a dire Salerno, e alcuni centri maggiori della provincia (Agropoli, Pontecagnano, Vallo della Lucania).

Ciò significa che, accanto ad un’emigrazione prevalentemente operaia che ha come punto di arrivo il Nord industriale, ve n’è un’altra di tipo soprattutto impiegatizio, la quale si dirige verso le città del Centro e del Sud, che sono sedi di uffici statali e amministrativi di ogni genere, non disdegnando le cittadine del proprio comprensorio provinciale, le quali offrono possibilità lavorative dello stesso tipo.

Pertanto, il fenomeno migratorio iniziato in quegli anni e protrattosi ininterrottamente fino ai nostri giorni, nel quale col tempo ha assunto la prevalenza la componente impiegatizia ovunque esso fosse diretto, si è sempre più caratterizzato come una fuga in massa dai piccoli borghi rurali di una volta, meridionali ma non solo, verso i centri urbani di grosse, ma anche di medie e medio-piccole dimensioni. Detta fuga, come accennavo sopra, è la diretta conseguenza dell’abbandono delle campagne e della grave crisi dell’economia agricola delle zone collinari meridionali: fenomeni che sono cominciati in quegli anni cruciali per la storia dell’Italia repubblicana e che, purtroppo, sono ancora in corso. Naturalmente, la frana del 1963 per i motivi che si possono facilmente immaginare accentua il flusso migratorio. 

A questo punto, sulla base del sintetico sguardo retrospettivo sulle vicende socio-economiche di San Nicola di quel periodo sopra delineato, si può senz’altro desumere che esse ricalcano fedelmente quello che accadde allora un po’ in tutto il Sud d’Italia. Inoltre. – e anche questo ricalca quello che successe altrove – alla fine degli anni ’60 anche a San Nicola, nonostante la frana, è avvenuta una piccola rivoluzione: infatti, grazie alle rimesse degli emigranti, – soprattutto, dei lavoratori nelle miniere di carbone del Nord Europa e nello scavo dei tunnel sulle linee ferroviarie italiane – è migliorato nettamente il tenore di vita in quasi tutte le famiglie ex-contadine e la stragrande maggioranza dei ragazzi di estrazione operaia possono proseguire gli studi oltre la licenza media. In maniera ancora marginale in quegli anni, ma alquanto più marcatamente in quelli a venire, assumerà un ruolo sempre più importante per il paese l’economia turistica, che già allora si era notevolmente sviluppata nelle località costiere di Palinuro e Marina di Camerota.

Ma, prima di chiudere queste brevi note storico-economiche sulla San Nicola degli anni ’50-’70 dello scorso secolo, ritengo doveroso rivolgere un grato pensiero ai minatori sannicolesi, i quali, lavorando duramente in condizioni di pericolo costante per la loro incolumità e di grave danno per la loro salute, sono riusciti in un periodo ancora difficile per una nazione da poco uscita da una guerra disastrosa a dare un benessere e una sicurezza economica duraturi per le loro famiglie, realizzando, come accennavo prima, una piccola rivoluzione nell’assetto sociale del paese. E’ opportuno anche ricordare che tutti contrassero una brutta malattia professionale, la silicosi, che li portò nella stragrande maggioranza dei casi alla morte in età relativamente giovane. Proprio per perpetuare la loro memoria, trasmettendola alle nuove generazioni, mi piace riportare in calce i loro nomi con l’indicazione delle date di nascita e morte; a seguire una mia poesia  sulle loro tristi condizioni di lavoro e di vita :

 ANGELLOTTI GIOVANNI            1937-2006

BIZZOCO NAZARIO        

BRUZZESE ANIELLO                   1923-1992

CAPUTO VINCENZO                  1934-2007

CICCARINO PANTALEO            1906-1987

DI VECE DOMENICO                1927-2007

FIERRO DOMENICO                 1934-1955  (Deceduto a causa di una frana in galleria)

GRECO SALVATORE

GRECO CARMINE/

IORIO ANIELLO                        1934-2012

IORIO SALVATORE                  1943-2019

IORIO MICHELE                      1902-1979

LANIA ALFONSO                    1916-1953 (Deceduto a causa di una frana in galleria)

MARCOTULLIO ANIELLO      1919-1985

MAUTONE COSTANTINO    1928-1962

MONTUORI LUIGI                1914-1987

ORICCHIO ETTORE              1904-1974

PERCOPO ANIELLO            1922-1992

PERCOPO QUIRINO          1925-2022

PERCOPO PIETRO             1915-1983

SANSONE PASQUALE      1933-2012

SANSONE VINCENZO      1906-1979

SCARCELLO DOMENICO 1931-2012

TAMBASCO ANTONIO    1936-2000

TOMEI ADOLFO              1939-1991

TOMEI ANIELLO             1920-2002

TOMEI DOMENICO       1907-1969

TOMEI GAETANO         1914-1982

TOMEI GIOVANNI        1895-1958

TOMEI MAURO            1928-2010

TOMEI MAURO            1934-2009

TOMEI RAFFAELE        1912-1975

TOMEI SABATO           1921-1997

VALIANTE LUIGI       1926-1994

VALIANTE SALVATORE 1919-2009

                  ‘U Minaturi

Stai ‘ccu lu picu notti e juorni sane

a mangià pulvi ind’a la gallaria

e ‘ddà t’acciri sul uri fatìa

‘ppi purtà a casa nu tuozzu ri pane

E scavi e spacchi petre ure e ure

a luci sul uri n’acitilena

e aspietti sempi ‘u suonu r’a sirena

‘ccu l’ova ‘npiettu p’asciuttà ‘u surure.

Sienti l’ùmmitu trasi ind’a l’ossa

e, attramenti triemmi ri paura

ca cari ‘ a frana, scavi n’ata fossa

ti fiermi e guardi la muntagna scura.

E pienzi ‘e criature che stanu a casa,

a muglierita che stai sempi sula:

‘ddà t’aspetta e fatia com’a na mula

E sonna a ti che li rai cientu vasa.

Ma ti ricuordi po’ c’a casa è zica,

ca i figli mangianu na vota ‘o juornu,

ca tanti voti ti si ‘mmisu scuornu

ri ‘mmità ‘ggente, furastera e amica.

E tuorni ‘ccu ‘cchiù geniu a fatiari,

pinzannu a ‘ddu vignali a lu Timpuni,

a ‘dda casa bella e grossa ‘cc’u purtuni

tutti ‘ddui, appena puo’, t’ara accattari.

E, quannu roppu na vita ri stienti

‘dda casa e ‘ddu vignali t’è accattatu,

t’accuorgi ca ‘a pusiera s’è mangiatu

i purmuni e ra campà nun resta nienti.

E pienzi: ‘cchi distinu trarituri!

Stai ‘ncopp’a Terra sulu ‘ppi fatiari

E muori quannu ti può arripusari.

Chiata è la sciorta ri lu minaturi!