Il Maestro d’Arte Domenico Sepe

Immedesimarsi nell’antico appropriandosene, consacra l’artista Domenico Sepe poeta contemporaneo della materia. Scolpire l’anima prima del corpo è la sfida d’arte con cui si confronta e da cui vittorioso ne emerge: domina l’ineluttabile, la fine terrena, la caducità, attraverso un divino soffio vitale che libera dalla materia.
Il rinascimento contemporaneo dell’antico di Domenico Sepe sboccia in una sovrapposizione di linguaggi classici e anticlassici insieme che partecipano di un’incessante pulsione verso l’eterno; i soggetti tra il sacro e il profano vivono di una tensione espressiva che rapisce estaticamente lo sguardo e la materia si fa’ culla dell’invisibile in un gioco sensuale di luci e ombre.


Tra terrecotte, bronzi, resine e metalli prendono vita le sculture più mature dell’artista, che confluiscono nella mostra personale “Divino”(2019) presso la città eterna di Matera, dove il divino viene narrato soprattutto attraverso il percorso della figura di Cristo rappresentato in diverse sculture, connotate da un intenso realismo emozionale, tra espressioni forti di passione, sofferenza ma anche
speranza in una dimensione umana e sacra. Ai soggetti propriamente religiosi si affiancano i gruppi scultorei che traggono ispirazione dalla mitologia, dalle passioni e dall’iconografia sacra.
Mosè, Zeus, la Sibilla, pur raccontando storie diverse, vivono della stessa tensione psicologica nei lineamenti, di un tale pathos espressivo che rende le sculture non solo vive ma vitali. La coppia angelica Divino Tormento e Divino Segreto guida ed illumina il viaggio psicanalitico dentro e fuori di sé che muove dall’espressione, rivelando storie di passione e trasfigurazione attraverso l’abbandono: dal tormento all’estasi, dal segreto all’enigma divino si disvela la storia eterna dell’anima. Stupiscono le velature di Lilith e Velata Napoli, retaggio tecnico di Sammartino e Corradini e tanto apprezzate da Canova, che pur nascondendo le
forme le rendono più visibili e drammatiche. Le opere di grandi dimensioni, esemplificate dal monumento di San Giorgio martire e la Vittoria Alata, prediligono la fisicità legata al gesto espressivo che si fa interprete delle emozioni e dei sentimenti. Non è un caso che Domenico Sepe utilizzi nella creazione delle sue opere una tecnica antichissima, la fusione a cera persa, che rende il bronzo
vuoto, un’apertura originaria al divino, sede prescelta dell’anima, il vuoto pieno dell’assoluto. L’artista evoca il divino entrando in comunione con esso nel suo luogo prediletto: la sacralità. E senza rinnegarne il lato oscuro, quello più in ombra, velato, sensuale, passionale e tormentato abbraccia tutta l’anima del mondo, in un movimento continuo dal mito alla coscienza, dalla religione alla
vocazione personale.